lunedì 28 giugno 2010

Paul Gauguin: l'angoscia esistenziale

Come rispondere ai grandi temi della vita e dell'uomo?


"D'où venons nous / Que sommes nous / Où allons nous”". Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? è un dipinto del 1897 di Paul Gauguin ad olio su tela (141 x 376 cm). Oggi l'opera è conservata al Museum of Fine Arts di Boston.
Quando Gauguin dipinse questo quadro era in un periodo molto tribolato della sua esistenza, gravemente ammalato, artisticamente isolato e sconvolto per la morte della figlia Aline, tanto da tentare il suicidio.
In situazioni emozionali estreme il genio umano partorisce dei capolavori. Un’ opera di grandi dimensioni per le proporzioni e, soprattutto, per il significato simbolico.
Un’opera in cui l’autore incorpora la sintesi di tutte le sue angosce che si manifestano come un sentimento di malessere profondo, di inquietudine, di smarrimento e che tormenta il suo spirito: la disperazione.
“La disperazione è una malattia nello spirito, nell’io, e così può essere triplice:
disperatamente non essere consapevole di avere un io;
disperatamente non voler essere se stesso;
disperatamente voler essere se stesso.”
(da “La malattia mortale" di Kierkegaard)
Gauguin con il tentativo di suicidio è nella fase:“disperatamente non voler essere se stesso”
Con la realizzazione del quadro in quella:”disperatamente voler essere se stesso”.
Il quadro è conosciutissimo pertanto due sole puntualizzazioni.
La lettura del quadro che è da destra verso sinistra e il tema del quadro che è il ciclo vitale.
A destra: “D'où venons nous” la nascita del bambino tra l’indifferenza della donna che gli volge le spalle.
Al centro: Que sommes nous”: rappresentato dalla figura del giovane con le mani alzate mentre coglie un frutto da un albero. Un atteggiamento emblematico: Adamo e il paradiso terrestre?
A sinistra: “Où allons nous” la morte con la figura di donna in colore scuro, in una posa, la testa tra le mani, simile a quella che dipingerà, nell’Urlo, Munch, che è il pittore dell'angoscia.
Il tutto su uno sfondo inquietante: un atmosfera da angoscia esistenziale, come nel film di Ingmar Bergman “Il settimo sigillo”.
Come rispondere ai quesiti che Gauguin si pone in modo così perentorio da scriverli sul quadro stesso?
Tre le possibili risposte: ateismo, creazionismo e agnosticismo.
da dove veniamo? Da un’evoluzione casuale
Che cosa siamo? Unità biologiche pensanti
Dove andiamo? Verso la morte ed il nulla.


Da dove veniamo? da un Creatore
Che cosa siamo? creature di spirito e materia
Dove andiamo? verso il Creatore


Da dove veniamo? Non lo sappiamo
Che cosa siamo? Non lo sappiamo
Dove andiamo? Non lo sappiamo.


L’ateismo sostiene di basarsi su un percorso scientifico di evoluzione, sul razionale, ma cade nel dogmatismo escludendo a priori il creazionismo e la spiegazione che da dell’inizio dell’evoluzione è assolutamente carente: una fluttuazione casuale del nulla ha dato origine alla materia, ossia una pessima interpretazione della meccanica quantistica. Quindi il “tutto” sarebbe nato, spontaneamente e per caso, dal niente.
Il creazionismo, dando per scontato l’esistenza di un Creatore, semplifica molto la spiegazione dell’ esistenza del “tutto”, ma è un dogma, non ci sono prove dell’esistenza di Dio, se non la percezione in sé. La percezione in sé è ad personam e quindi non è una dimostrazione assoluta.
L’agnosticismo è una non presa di posizione: si ritengono carenti le argomentazioni degli atei e dei credenti, ma non è in grado di dare risposte certe.
L’esimersi da prendere posizione può sembrare una fuga, un’indifferenza esistenziale, ma non è così: è l’approccio più corretto al problema, un approccio consapevole delle difficoltà, un’attenta analisi di ogni possibile argomentazione che porti ad una vera conoscenza. Certamente è il percorso più difficile per nostro Io.
L’Io che abbia trasvalutato tutti i valori artificiali costruiti nei millenni dall'uomo e, quindi, scevro da condizionamenti dogmatici, è solo al cospetto del tutto. Una solitudine che, se da un lato esalta l’uomo come individuo avulso dal magma sociale, ha come contropartita il rischio dell’eterno dubbio. Solo l’Io più forte, più consapevole di quanto sia impervio questo percorso esistenziale, non cade nell’angoscia che porta alla malattia mortale: la disperazione.
La disperazione di dover attendere il momento del redde rationem per saperne, forse, di più.