venerdì 24 aprile 2009

Un palestinese smaschera l’ipocrisia di Durban e i crimini della Libia

Ieri ci avete chiesto di pubblicare il testo della Conferenza Onu sul Razzismo. Ma preferiamo raccontare una storia che spiega meglio di tante altre la natura orwelliana del vertice che si è appena concluso a Ginevra. Vi dice niente il nome di Ashraf al-Hajui?
Orwell a Ginevra

di
Roberto Santoro
23 Aprile 2009

La storia che vogliamo raccontarvi ha per protagonista il medico palestinese Ashraf al-Hajui. Qualcuno ricorderà che nel 1999 fu arrestato in Libia con 5 suore bulgare. L’accusa era pesantissima: aver infettato centinaia di bambini con sangue contaminato dal virus dell’Aids. La polizia lo rinchiuse per 8 anni nelle galere libiche e fu un’esperienza infernale. Ashraf ha raccontato di essere stato stuprato ripetutamente da un pastore tedesco, che gli sono state strappate via le unghie dalle mani, che lo tormentavano con scosse elettriche ai testicoli. Ha “confessato” tutto pur di sfamare i suoi carnefici. Alla fine è stato liberato grazie al provvido intervento della Francia. Siamo nel 2007.

Anche l’arcigna signora Najjat al-Hajjaji è libica. Per la precisione è stata l’ambasciatrice del Colonnello Gheddafi durante i lavori preparatori di Durban II. E non si tratta di un delegato qualsiasi. L’hanno nominata presidentessa del main committee che coordinava il vertice. Qui arriva il colpo di teatro, un punto micidiale messo a segno da “UN Watch”, l’organizzazione ebreo-americana che si occupa di “monitorare le performance delle Nazioni Unite per verificare se rispettano i principi della loro Carta fondativa”.

Venerdì scorso, la main commission della signora Najjat concede 30 minuti alle Ong per discutere e avanzare proposte sul testo che quello stesso giorno sarà approvato per acclamazione. Nel coacervo di Ong impegnate a ricordare al mondo la persecuzione dei palestinesi, la presidentessa concede la parola al delegato di UN Watch. Forse si aspettava un intervento di Hillel Neuer, il direttore esecutivo. Invece a prendere la parola è proprio un palestinese perseguitato senza pietà. Il dottor Ashraf.

“Madame – esordisce lui rivolgendo un’occhiata di ghiaccio all’ambasciatrice libica – Non so se mi ha riconosciuto. Sono il medico palestinese che è stato usato come capro espiatorio dal suo Paese, la Libia, durante il caso sull’HIV dell’Ospedale di Bengasi, insieme a 5 suore bulgare”. La reazione della signora Hajjaji è tanto seccata quanto istantanea. La donna batte con virulenza il suo martelletto interrompendo Ashraf: “Stop, stop, le chiedo di fermarsi” dice con un’alterigia da prenderla a schiaffi. Aggiunge che potrà continuare il suo intervento solo se si limiterà a parlare dei temi in agenda.

Ma Ashraf sta parlando proprio di negazione dei diritti umani (i crimini libici evidentemente non erano nell’agenda della Conferenza di Ginevra). Quando riprende la parola propone di emendare il testo con alcune note “basate sulle mie sofferenze personali”. L’ambasciatrice lo interrompe di nuovo, sempre agitando quello stupido martelletto censorio. “Signora – continua lui imperterrito – se non è discriminazione questa, di cosa stiamo parlando?”. “La Libia ha partecipato a questa conferenza dicendo che ripudia le pratiche discriminatore. Ma come ci spiega quello che mi è accaduto e che è toccato ai miei familiari?”.

La Hajjaji gli toglie definitivamente la parola e la passa al delegato libico, il quale si affretta a ripetere che Ashraf è andato fuori tema. Così la presidentessa passa la parola al delegato successivo. Ecco com’è andata Durban 2. “Orwell a Ginevra”, ha titolato eloquentemente la rivista americana Commentary.

Un responsabile di Human Rights Watch questi giorni aveva chiesto ai Paesi occidentali di non disertare “Durban II” perché il razzismo va combattuto dentro gli appositi organismi delle Nazioni Unite. Si è anche diffusa la tesi che il testo finale della Conferenza sarebbe stato “emendato” rispetto all’estremismo delle bozze precedenti. In realtà a Ginevra è andato in scena il classico “doppio standard” che le Nazioni Unite – o meglio la lobby terzomondista che ha egemonizzato l’Onu – usa per attaccare Israele, il colonialismo europeo e il neocolonialismo americano, tacendo o censurando gli altri episodi di persecuzione di cui si macchiano i regimi liberticidi in giro per il mondo.

http://www.loccidentale.it/articolo/un+medico+palestinese+smaschera+l%E2%80%99ipocrisia+di+durban+e+i+crimini+della+libia.0070229
(Con questo link si può vedere anche un video)

mercoledì 8 aprile 2009

Il "mondo in frantumi" di Alexandr Solzenicyn

se ne è andato il 3 agosto 2008, e la notizia della sua morte, in Italia è scivolata via senza destare quasi clamore.Eppure questo grande vecchio, dallo sguardo tormentato di chi ha visto troppo, è stata una figura epocale, uno di quegli uomini che scendono sulla terra, per regalare all’umanità una conoscenza più profonda. Attraverso la sua opera letteraria intrisa di dolore, denuncia e passione rivelò al mondo l’orrore dei gulag, i campi di lavoro sovietici e cancellò l’utopia comunista, smascherandone la natura totalitaria e sanguinaria. Fu insignito del Nobel per la letteratura nel 1970, fu esiliato e visse lontano dalla sua terra in Germania, Svizzera e Stati Uniti. Una vita rocambolesca che attraverso la sua storia e la sua opera, testimonia la libertà irriducibile di ogni uomo.Ma seppe anche anticipare il "male oscuro" dell'Occidente, capì che quando la libertà diventa irresponsabile cade ogni barriera contro gli abissi del decadimento umano.Nel 1978 ad Harvard davanti a un enorme pubblico, parlò lucidamente della deriva di una società che fa di ogni sua pulsione un diritto, e che lentamente si avvia verso la sua autodistruzione.E infatti dopo aver letto parte del suo discorso che ho trovato attualissimo che ho deciso di ricordarlo con questo scritto.LIBERTÀ: DELL'IRRESPONSABILITÀ?In conformità ai propri obiettivi la società occidentale ha scelto la forma d’esistenza che le era più comoda e che io definirei giuridica. I limiti (molto larghi) dei diritti e del buon diritto di ogni uomo sono definiti dal sistema delle leggi. A forza di attenersi a queste leggi, di muoversi al loro interno e di destreggiarsi nel loro fitto ordito, gli occidentali hanno acquisito in materia una grande e salda perizia (ma le leggi restano comunque così complesse che il semplice cittadino non è in grado di raccapezzarcisi senza l’aiuto di uno specialista). Ogni conflitto riceve una soluzione giuridica, e questa viene considerata la più elevata. Se un uomo si trova giuridicamente nel proprio diritto, non si può chiedergli niente di più. Provate a dirgli, dopo la suprema sanzione giuridica, che non ha completamente ragione, provatevi a consigliargli di limitare da se stesso le sue esigenze e di rinunciare a quello che gli spetta di diritto, provatevi a chiedergli di affrontare un sacrificio o di correre un rischio gratuito… vi guarderà come si guarda un idiota. L’autolimitazione liberamente accettata è una cosa che non si vede quasi mai: tutti praticano per contro l’autoespansione, condotta fino all’estrema capienza delle leggi, fino a che le cornici giuridiche cominciano a scricchiolare. (…)Io che ho passato tutta la mia vita sotto il comunismo affermo che una società dove non esiste una bilancia giuridica imparziale è una cosa orribile. Ma nemmeno una società che dispone in tutto e per tutto solo della bilancia giuridica può dirsi veramente degna dell’uomo. Una società che si è installata sul terreno della legge, senza voler andare più in alto, utilizza solo debolmente le facoltà più elevate dell’uomo. Il diritto è troppo freddo e troppo formale per esercitare un’influenza benefica sulla società. Quando tutta la vita è compenetrata dai rapporti giuridici, si determina un’atmosfera di mediocrità spirituale che soffoca i migliori slanci dell’uomo. E contare di sostenere le prove che il secolo prepara reggendosi sui solo puntelli giuridici sarà per l’innanzi sempre meno possibile. È ora che affermiate i vostri doveri. Nella società occidentale di oggi è avvertibile uno squilibrio fra la libertà di fare il bene e la libertà di fare il male. Un uomo politico che voglia realizzare, nell’interesse del suo paese, una qualche opera importante, si trova costretto a procedere a passi prudenti e perfino timidi, assillato da migliaia di critiche affrettate (e irresponsabili) e bersagliato com’è dalla stampa e dal Parlamento. Deve giustificare ogni passo che fa e dimostrarne l’assoluta rettitudine. Di fatto è escluso che un uomo fuori dell’ordinario, un grande uomo che si riprometta di prendere delle iniziative insolite e inattese, possa mai dimostrare ciò di cui è capace: riceverebbe tanti di quegli sgambetti da doverci rinunciare sin dall’inizio. Ed è così che col pretesto del controllo democratico si assicura il trionfo della mediocrità. Per contro è cosa facilissima scalzare l’autorità dell’Amministrazione, e in tutti i paesi occidentali i poteri pubblici si sono considerevolmente indeboliti. La difesa dei diritti del singolo giunge a tali eccessi che la stessa società si trova disarmata davanti a certi suoi membri: è giunto decisamente il momento per l’Occidente di affermare non tanto i diritti della gente, quanto i suoi doveri.Al contrario della libertà di fare il bene, la libertà di distruggere, la libertà dell’irresponsabilità, ha visto aprirsi davanti a sé vasti campi d’azione. La società si è rivelata scarsamente difesa contro gli abissi del decadimento umano, per esempio contro l’utilizzazione delle libertà per esercitare una violenza morale sulla gioventù: si pretende che il fatto di poter proporre film pieni di pornografia, di crimini o di satanismo costituisca anch’esso una libertà, il cui contrappeso teorico è la libertà per i giovani di non andarli a vedere. Così la vita basata sul giuridismo si rivela incapace di difendere perfino se stessa contro il male e se ne lascia a poco a poco divorare. E che dire degli oscuri spazi in cui si muove la criminalità vera e propria? L’ampiezza dei limiti giuridici (specialmente in America) costituisce per l’individuo non solo un incoraggiamento a esercitare la sua libertà ma anche un incitamento a commettere certi crimini, poiché offre al criminale la possibilità di sfuggire al castigo o di beneficiare di un’immeritata indulgenza, grazie magari al sostegno di un migliaio di voci che si leveranno in suo favore. E quando in un paese i poteri pubblici affrontano con durezza il terrorismo e si prefiggono di sradicarlo, l’opinione pubblica li accusa immediatamente di aver calpestato i diritti civili dei banditi. La stampa, impenitente guardonaAnche la stampa (uso il termine “stampa” per designare tutti i mass media) gode naturalmente della massima libertà. Ma come la usa?Lo sappiamo già: guardandosi bene dall’oltrepassare i limiti giuridici ma senza alcuna vera responsabilità morale se snatura i fatti e deforma le proporzioni. Un giornalista e il suo giornale sono veramente responsabili davanti ai loro lettori o davanti alla storia? Se, fornendo informazioni false o conclusioni erronee, càpita loro di indurre in errore l’opinione pubblica o addirittura di far compiere un passo falso a tutto lo Stato, li si vede mai dichiarare pubblicamente la propria colpa? No, naturalmente, perché questo nuocerebbe alle vendite. In casi del genere lo Stato può anche lasciarci le penne. Ma il giornalista ne esce sempre pulito. Anzi, potete giurarci che si metterà a scrivere con rinnovato sussiego il contrario di ciò che affermava prima. La necessità di dare un’informazione immmediata e che insieme appaia autorevole costringe a riempire le lacune con delle congetture, a riportare voci e supposizioni che in seguito non verranno mai smentite e si sedimenteranno nella memoria delle masse. Quanti giudizi affrettati, temerari, presuntuosi ed erronei confondono ogni giorno il cervello di lettori e ascoltatori e vi si fissano! La stampa ha il potere di contraffare l’opinione pubblica e anche quello di pervertirla. Così, la vediamo coronare i terroristi del lauro di Erostrato, svelare perfino i segreti della difesa del proprio paese, violare impudentemente la vita privata delle celebrità al grido “Tutti hanno il diritto di sapere tutto” (slogan menzognero per un secolo di menzogna, perché assai al di sopra di questo diritto ce n’è un altro, perduto oggigiorno: il diritto per l’uomo di non sapere, di non ingombrare la sua anima divina di pettegolezzi, chiacchiere, oziose futilità. Chi lavora veramente, chi ha la vita colma, non ha affatto bisogno di questo fiume pletorico di informazioni abbrutenti). Giornalisti in nome di chi?È nella stampa che si manifestano, più che altrove, quella superficialità e quella fretta che costituiscono la malattia mentale del XX secolo. Penetrare in profondità i problemi le è controindicato, non è nella sua natura, essa si limita ad afferrare al volo qualche elemento di effetto.E, con tutto questo, la stampa è diventata la forza più dirompente degli Stati occidentali, essa supera per potenza i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Ma chiediamoci un momento: in virtù di quale legge è stata eletta e a chi rende conto del suo operato? Se nell’Est comunista un giornalista viene apertamente designato dall’alto come ogni altro funzionario statale, chi sono gli elettori cui i giornalisti occidentali devono invece la posizione di potere che occupano? E per quanto tempo la occupano? E con quale mandato? QUI il discorso per interoCome si può facilmente immaginare in Italia Alexandr Solzenicyn fu osteggiato e censurato, l'élite letteraria rossa lo bollò come una "nullalità sul piano artistico" (Cassola), un "Dostoévskij da strapazzo" (Eco). Ma gli attacchi non furono solo sul piano letterario, Moravia sull'Espresso scrisse che lo scrittore russo è un "nazionalista slavofilo della più bell'acqua".Insomma, il solito film a cui siamo abituati dal dopoguerra a oggi. La sinistra non ammette critiche, ma non disdegna di ricorrere agli insulti, quando non ha argomenti validi per obiettare.
Needle

VIVA LA VITA !!!

Nonnina resta sepolta 30 ore: «Ho lavorato all’uncinetto»

Pubblicato il giorno: 08/04/09
a 98 anni

Maria D’Antuono ha novantotto anni ed esce viva dalle macerie dopo trenta ore. È rimasta intrappolata sul letto, tra i calcinacci della sua casa crollata nel paesino di Tempera. Ieri mattina, alle otto, è stata recuperata viva e in ottima forma: «Cos’ho fatto in tutto questo tempo? Ho lavorato, ho fatto l’uncinetto», ha spiegato con naturalezza. Mentre tutto intorno sentiva le urla di disperazione e il rimbombo dei soccorsi, lei non si è mai perduta d’animo né scoraggiata. Col suo secolo di vita ha preso in mano ago e filo per non lasciarsi morire. Per i soccorritori e la gente in attesa delle ricerche, vederla viva è stato un segno di speranza. Quando Maria è stata recuperata dai pompieri, era seccata soltanto per una cosa: il fatto di ritrovarsi davanti alle telecamere senza messaimpiega: «Almeno fatemi pettinare...». Dopo essere stata medicata, si mette a mangiare qualche cracker, tra gli uomini e le donne che ancora aspettano di riabbracciare i loro cari.