sabato 9 maggio 2009

Da e di Marco De Turris

venerdì 7 novembre 2008
LA CULTURA DI DESTRA IN ITALIA
Accade sovente in Italia d’udire esprimere giudizi alquanto critici sulla “cultura di destra” e sostenerne la sua sostanziale inesistenza o comunque inferiorità rispetto alla cosidetta “cultura di sinistra” d’impronta marxista-progressista.Questo vero e proprio pregiudizio ideologico ha trovato la sua massima espressione in un’affermazione di Norberto Bobbio, intellettuale di sinistra, sedicente liberale ma con simpatie di sinistra, il quale ha detto e scritto che non esiste una cultura di destra.E’ facile confutare simili asserzioni quali frutto d’ignoranza o malafede. La grande cultura internazionale del mondo contemporaneo non è di solito affatto socialista o marxista. Rimanendo all’Italia, nel solo Novecento i tre maggiori filosofi italiani, Croce, Gentile ed Evola, erano tutti e tre di destra, così come era di destra il maggior economista di sempre della nostra Patria, il liberale e monarchico Luigi Einaudi. I maggiori letterati italiani attivi nel secolo XIX, Pirandallo, Svevo, D’Annunzio, erano tutti simpatizzanti del fascismo, così come personaggi illustri operanti nei campi più diversi, da Marconi a Mascagni. Un elenco esaustivo degli autori illustri qualificabili in una delle molte anime della “destra”, sia essa liberale, conservatrice, nazionale, tradizionalista ecc., sarebbe davvero troppo lungo per questa sede, e non potrebbe neppure essere esaustivo. Basti dire che la ricchezza intellettuale dell’Italia dei secoli passati contrasta visibilmente con il livello mediamente basso della fase storica degli ultimi 60 anni, culturalmente dominata dal pensiero di sinistra. La ragione di tale paradosso è che alla “destra” non mancano né gli uomini, né le idee e gli ideali, bensì i mezzi e le possibilità per esprimere questi ultimi. In Italia il potere culturale viene ad essere da decenni egemonizzato dalla sinistra marxista, sia nelle università e nelle case editrici, sia in ambito giornalistico (Marcello Veneziani ha scritto un libro al riguardo, “L’eskimo in redazione”, spiegando come i giornalisti di sinistra abbiano ottenuto un notevole grado d’autonomia ed indipendenza dinanzi ai propri stessi editori, ridotti a consentergli di svolgere la propria propaganda), e persino in ambiti apparentemente meno importanti quali il cinema e la musica. Questa vera e propria occupazione dei posti di potere della cultura è probabilmente frutto di due cause principali. La prima consiste nell’attuazione da parte del PCI-PDS d’una precisa strategia, che era già stata delineata da Gramsci e che teorizzava esplicitamente l’instaurazione d’una “egemonia” (questo il termini specifico impiegato) da parte dei marxisti in campo culturale, al fine di poter inculcare all’intera società i propri principi. E’ così accaduto che i partiti di sinistra impiegassero denaro, uomini, strumenti di pressione d’ogni genere, per riuscire a far entrare propri rappresentanti e sostenitori nelle istituzioni culturali d’ogni ordine e grado, dalle università alle scuole materne, dalle case editrici a quelle discografiche. In ciò la loro opera è stata molto favorita dai sindacati della Triplice (CGIL-CISL-UIL), capaci di conquistarsi il consenso d’una ampia fascia degli insegnanti e dei docenti universitari.La seconda ragione risiede nel fatto che alla suddetta operazione, svolta sulla base di una vera e propria strategia, ben guidata dall’alto e finanziata adeguatamente, non ha corrisposto da parte delle destre alcuna replica adeguata: cattolici conservatori, liberali, missini si sono presentati divisi dinanzi all’unitarietà ideologica dell’avversario marxista. Inoltre, i cattolici democristiani, nonostante abbiano governato l’Italia per quasi 50 anni, non compresero realmente l’importanza della cultura nella propria attività politica, mentre i liberali ed i missini, troppo deboli i primi, decisamente emarginati i secondi, non poterono con le loro sole forze rispondere alla sistematica campagna d’occupazione e promozione culturale della sinistra marxista.Il risultato è che all’abbondanza di talenti e di idee della destra non ha corrisposto un’adeguata visibilità, mentre ad una fondamentale monotonia e povertà della sinistra ha fatto contrasto una diffusione amplissima delle proprie convinzioni. Per portare un esempio significativo, l’opera considerata il maggior romanzo italiano di tutto il Novecento, “Il gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, autentico capolavoro impregnato di spirito conservatore, monarchico e cattolico, non trovò, mentre il suo autore era in vita, un solo editore disposto a pubblicarlo. Quando infine venne èdito, lo fu dalla Feltrinelli, la casa editrice di sinistra per eccellenza, che cercò di gabellarlo come un testo dal contenuto rivoluzionario.Accade così, ancora oggi, che determinate professioni, quali quelle di docente universitario o giornalista, siano ben più facili da percorrere per chi si professa di sinistra, che non per un apolitico, e siano sovente chiuse a chi dichiara opinioni di destra. Al loro interno esistono forti corporazioni di fede “progressista”, che tendono ad aggregare membri delle loro stesse idee ed ad escludere gli altri.Il problema posto da questa situazione non è unicamente di giustizia, essendo profondamente iniqua una tale discriminazione, ma anche e propriamente politico, poiché la sinistra italiana controlla un potere culturale e mediatico sproporzionato, utile a diffondere le concezioni della parte politica di riferimento.
Pubblicato da Marco De Turris a 21.35

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